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Il consulente di direzione: L’arte della consulenza di direzione

 

Il Consulente di direzione, oltre al sapere fare nell’ambito aziendalistico, deve avere la capacità di immedesimarsi nella realtà dell’azienda ed invitare Manager e dipendenti dell’azienda alla comunicazione, alla condivisione della conoscenza, ad una organizzazione più pratica e più “snella”

Forse si esagera con troppi termini tecnici che, al di là di supporre alte conoscenze, rendono ostica la comprensione dei non addetti ai lavori. Siamo quindi agli antipodi della comprensione e con manifeste difficoltà a verificare (feedback) se i nostri messaggi vengono compresi da quella comunità a cui ci rivolgiamo (target).

In realtà il problema è sempre culturale, senza la conoscenza e l’informazione non vi può essere evoluzione. Si parla di cultura di impresa, di conoscenze tecniche, di nuovi strumenti di gestione ma spesso le basi della consulenza aziendale, sono trascurate non applicate.

Si utilizza un pragmatismo spesso privo di una buona teoria e si procede a guidare l’azienda empiricamente, con l’istinto e le “capacità innate” dell’imprenditore non tanto infrequente unico solista o pensatore assoluto della “sua” azienda.

In realtà l’azienda non è dell’imprenditore, è di tanti, perché i portatori di interesse (stakeholders) sono i fornitori, i clienti, i dipendenti, nonché lo stesso Stato o Fisco.

Del resto lo stesso Stato, per sostenere la collettività, si nutre del lavoro prodotto dall’azienda che spesso faticosamente e con grande sacrificio l’imprenditore porta avanti, non a caso la famosa frase: “Ho compiuto un’impresa”.

Considerando lo stato di analfabetismo aziendale, occorre una rivoluzione culturale: “Aprire l’impresa alla conoscenza, non solo alla economia aziendale ma al mondo delle neuroscienze, al problem solving, al marketing, alla programmazione neurolinguistica, ecc.  

È altrettanto importante divulgare le tecniche della comunicazione e della conoscenza (cfr. learning organization).

Consulente di direzione

Il mio percorso di ex manager di multinazionale (gruppo Ford Italia e Ford Credit) mi ha dato l’opportunità di vivere come pioniere, esperienze e conoscenze tecniche che solo dopo anni si sono diffuse nel nostro paese.  

Già negli anni 90 sia i sistemi informatici, le procedure aziendali, il sistema di qualità del marchio Ford, venivano iniettati in Europa con lo scopo di creare un vantaggio competitivo rispetto agli altri marchi automobilistici.

La scoperta del “customer focus”, l’attenzione al cliente, ma la stessa Balanced Scorecard era, di fatto applicata a tutto il circuito del gruppo.

Importanza del business, dei processi aziendali e delle procedure, ancora in Italia non esisteva la certificazione di qualità, il focus sui clienti e sui dipendenti attraverso la formazione e l’attenzione allo sviluppo del loro percorso.

Alimentarsi di obiettivi e strategie costituisce il primo passo per l’insediamento più opportuno in azienda.

Per essere buoni consulenti, oltre al sapere fare nell’ambito aziendalistico, occorre la capacità di immedesimarsi nella realtà dell’azienda ed utilizzare le conoscenze sopra descritte ed invitare l’intera popolazione d’azienda alla comunicazione, alla condivisione della conoscenza, ad una organizzazione più pratica e più “snella” (lean organization).

L’azienda è un fenomeno complesso e richiede la presenza di più figure professionali. L’attività contabile e fiscale da sole, non sono bastevoli a coprire tutte le esigenze che possono sostanziarsi nel ciclo aziendale e non è corretto e nemmeno prudente, pretendere dal dottore commercialista interventi che prevedono altre specializzazioni nel campo aziendale.

 Tra l’altro si rischia di non eliminare le cause che possono danneggiare in modo irreversibile l’azienda.

È proprio per questo che l’imprenditore deve aprirsi e deve aprire i suoi orizzonti culturali al mondo esterno e fare divulgare tecniche e conoscenze all’interno della sua azienda, non per manie calligrafiche o di prestigio ma come must (dovere di adeguamento) all’assetto organizzativo aziendale.

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa, all’art. 375, comma 2 introduce una sostanziale riforma dell’art. 2086 c.c. – rubricato prima Direzione e gerarchia dell’impresa, ora Gestione dell’impresa – aggiungendo un secondo comma alla predetta disposizione che recita come segue:

«L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».

In buona sostanza, si introduce un vero e proprio obbligo, per l’imprenditore, di adottare degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili finalizzati a monitorare, ed eventualmente, rilevare situazioni patologiche che potrebbero sfociare anche nella crisi dell’impresa.

Questi doveri riguardano l’imprenditore in quanto tale e non l’imprenditore in quanto debitore; è un dovere dell’imprenditore –rectius dell’organo amministrativo – verso l’impresa e, indirettamente, verso gli stakeholders (ivi compresi i debitori).

Una rivoluzione culturale che impone all’impresa di “riscoprire” l’arte della gestione aziendale capitalizzando al meglio le tecniche che la governano.

Non a caso anche la “Balanced Scorecard” e tante altre strategie sono state rispolverate grazie al decreto legislativo 14 del 2019 che introduce il nuovo codice della crisi di impresa e impone la continuità aziendale a tutte le imprese.

Noi aziendalisti siamo in grado di gestire la crisi perché conosciamo ed attuiamo la consulenza di direzione, tuttavia preferiamo intervenire anticipatamente con una dovuta diligenza (due diligence) che consenta di potenziare le risorse e prevenire tensioni o l’instaurarsi di patologie aziendali che rendono la strategia di uscita molto più complessa.

Anche i finanziamenti più appetibili o competitivi rischiano di essere inutili se lo stadio del ciclo dell’azienda non è favorevole ad una ripresa (vedi a tal proposito la matrice di Boston Consulting o il ciclo di vita dell’impresa).

E’ tempo di vera e autorevole consulenza che non deve essere letta come un costo bensì come un investimento, come strumento per focalizzare la propria mission e prospettando una vision misurabile e raggiungibile, in altre parole cosa vogliamo fare da grandi.

Noi consulenti dobbiamo sempre essere pronti con la soluzione, in caso contrario, faremmo parte del “problema”.

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